Le
aree umide sono le più minacciate dai mutamenti del clima Un'analisi della situazione con il Prof. Riccardo Valentini |
Si chiamano «zone umide»: sono aree ricche di paludi e acquitrini, dove il paesaggio è un intreccio di canneti e di boschi, gli uccelli nidificano in abbondanza e gli anfibi si riproducono con popolazioni consistenti. Sembravano il baluardo più inattaccabile contro il processo di desertificazione paventato per la seconda metà del secolo. E invece saranno i primi avamposti a cadere quando, a causa dell'effetto serra, le temperature cresceranno ancora di 2-3 gradi, le precipitazioni si ridurranno del 25% e il mare invaderà le coste. «Quando si parla di aumentato rischio di desertificazione per l'Italia, come sostiene il recente rapporto Ue sui cambiamenti climatici previsti nella seconda metà del secolo, si pensa giustamente a un'estensione delle aree in cui questo fenomeno si manifesta già oggi - spiega il professor Riccardo Valentini, direttore del dipartimento di Scienze forestali all'università della Tuscia e presidente del comitato cambiamenti climatici del Cnr -. Fino a ieri si temeva che le cinque regioni già colpite dall'aridità e dal degrado dei suoli, cioè Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, diventassero le vittime preferenziali dell'incremento dell'effetto serra. Invece ora abbiamo scoperto che gli squilibri più gravi e la maggiore sofferenza degli ecosistemi si registreranno in molte zone umide». |
Una tipica zona umida italiana (foto tratta da http://www.parcotaro.it) |
Zona umida nel Parco del Ticino (foto tratta da http://www.parcoticino.it) |
Impegnato in una ricerca sulla risposta delle zone umide italiane ai cambiamenti climatici in atto, condotta in collaborazione con Cnr e Wwf, il professor Valentini anticipa la notizia che già una mezza dozzina di zone umide nostrane, sia al Nord sia al Centro- Sud, mostrano processi precoci di desertificazione. Le prime aree ad accusare segni della malattia climatica sono il bosco della Mesola nel delta del Po (Emilia Romagna), il Lago di Massaciuccoli e la pineta di Alberese (Toscana), la tenuta presidenziale di Castelporziano e il Parco nazionale del Circeo (Lazio), il bosco di Policoro (Basilicata), le zone umide della Sardegna occidentale. L'allarme viene dal rilevamento di una serie di fenomeni concomitanti e, per lo studioso, inequivocabili: «Le precipitazioni si vanno riducendo, le temperature medie continuano ad aumentare e con esse l'evaporazione del terreno. Insomma, la preziosa risorsa di acqua di questi bacini si va riducendo. Ma quando piove, spesso le precipitazioni sono concentrate, provocando inondazioni e asportazione dello strato superficiale del terreno più ricco di nutrienti». Ad aggravare lo stato di degrado, il lento ma già avvertibile processo di innalzamento del mare sta causando infiltrazioni di acque salmastre nei terreni, fino ad alcuni chilometri dalla costa. |
L'aumentata pressione antropica ai margini delle zone umide, che pure ricadono all'interno di parchi e riserve tutelate, compie il resto dello sfascio: «Lo sfruttamento delle acque dolci sotterranee per usi civili e agricoli ha superato ogni limite di sostenibilità - accusa Valentini -. Così le falde si abbassano e si riduce anche il patrimonio di acque profonde». Come conseguenza di quella che non esita a definire «una miscela deflagrante», i suoli delle zone umide si sono impoveriti, la vita vegetale e animale è entrata in sofferenza. Il parco del Circeo, per esempio, era famoso anche perché ospitava la farnia, una quercia tipica delle foreste del Centro Europa. Ma questa specie non si sta adattando al clima più caldo e si teme che fra non molto scomparirà del tutto. La ricchezza di piante e di animali, tipica di questi scrigni di biodiversità, potrebbe perdersi. «I rimedi ci sono, purché non si perda altro tempo - esorta lo studioso -. La riduzione delle emissioni di gas serra da sola non basta. Valutati gli impatti caso per caso, bisogna ridurre lo sfruttamento delle acque da parte dell'uomo e riforestare con specie più resistenti alle più alte temperature. Servono linee guida per il recupero del nostro irrinunciabile patrimonio di zone umide». |
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