Consentire la caccia al cinghiale
tutto l'anno è un provvedimento di una gravità assoluta, il
punto più basso raggiunto dalle politiche ambientali in questa regione.
Un atto che non solo le associazioni ambientaliste ma tutta la popolazione
estranea a questi giochetti di potere deve contestare fortemente, ricorrendo
anche alle vie legali. Un regalo di Natale ai cacciatori, come se se lo
meritassero dopo una stagione venatoria costellata di morti e feriti, di
bracconaggio e soprusi e minaccie ai comuni cittadini che hanno la sciagura
di vivere in zone dove questi uomini armati prendono possesso d'ogni cosa.
La solita politica di basso livello culturale, legata alle strategie lobbistiche,
agli interessi personali (diversi politici sono cacciatori), farcita di
ignoranza voluta o indotta, e di incompetenza. Far cacciare il cinghiale
tutto l'anno è quello che i cacciatori sognavano, quando hanno introdotto
questo ungulato; come si può pensare che sia la soluzione per il
problema, pur grave, dei danni all'agricoltura? Un problema va affrontato
alla radice, nelle sue cause, non nei suoi effetti. |
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Il problema cinghiale è
costituito, creato e garantito dalla stessa caccia al cinghiale, perché
é ovvio che non è nell'interesse dei cacciatori eliminarli.
C'é il problema delle coltivazioni? Si intervenga su quel settore,
in quei distretti, a partire dal controllo delle attività delle squadre
di caccia al cinghiale che siccome hanno assegnata loro una determinata
zona, se di cinghiali non ce ne sono abbastanza o se li ammazzano tutti,
l'anno dopo probabilmente ne reintroducono altri, e qualcuno di porta pure
da mangiare, in modo che li restino. Questo sistema é noto a tutti,
a partire da chi ha la responsabilità politica a livello territoriale,
cioé il Presidente della Provincia Ucchielli. Nella delibera della
Regione, dove certamente ha messo lo zampino l'Osservatorio Faunistico (capeggiato
guarda caso proprio dalla Provincia di Pesaro e Urbino), non c'è
nessun riferimento alla causa del problema, mentre invece si sono elencati
gli effetti della presenza del cinghiale divagando su materie come il dissesto
idrogeologico, i danni ai boschi e ai pascoli, con congetture ridicole e
asserzioni senza nessun fondamento scientifico. Come se di fronte ad una
decisione così pesante e drammatica per gli ambienti naturali, occorresse
attaccarsi a più cose possibili. Autorizzare le scorribande dei cacciatori
di cinghiale per tutto l'anno fa tornare le Marche indietro di qualche secolo,
ai tempi delle Riserve di Caccia dei nobili, ma stavolta ci andranno in
15 mila, devastando delicatisssimi equilibri ecologici, in barba ai diritti
di tutti gli altri cittadini, stringendo d'assedio anche in primavera ed
estate intere valli, intere montagne, senza scampo per il turismo e gli
sport della montagna. Le ricadute economiche di questa pazzia marchigiana
saranno ingenti, colpendo le strutture ricettive che hanno puntato sull'ambiente,
colpendo le professioni turistiche. Ci rimetteranno anche gli agricoltori
che ingenuamente hanno perseguito questo risultato: il problema cinghiale
si risolve solo con i controlli agli allevamenti e la turnazione delle squadre,
perché senza nuove reintroduzioni sono già più che
sufficienti i 3 mesi di caccia al cinghiale per farne diminuire il numero.
Si può anche affrontare il problema del cinghiale nelle aree protette,
in modo serio e scientifico, progettando metodi bio-ecologici, in grado
di sostituire quelli cruenti. Prima però deve cambiare il sistema,
deve terminare quel senso di impunità che ha praticamente concesso
in uso esclusivo ai cacciatori di cinghiale colline e montagne. Mancano
i soldi per risarcire dei danni provocati da questi animali: perché
non si inizia a chiederli a chi li ha introdotti?
Nella foto: quel che succede normalmente quando i borghi di montagna
vengono stretti d'assedio dalle battute al cinghiale...
Andrea Pellegrini Naturalista
Dicembre 2008 |