Le doppiette hanno ricominciato a sparare; anche quest’anno, anche questa volta in aumento sono le richieste di spiegazioni e le lamentele da parte della popolazione, sempre più insofferente verso queste forme di crudeltà sugli animali selvatici e di disturbo della quiete pubblica. La pre-apertura della stagione venatoria è stata l’1 settembre ma già 15 giorni prima i cacciatori privilegiati hanno iniziato ad abbattere innocui caprioli tra lo sbigottimento dei turisti. Dall’inizio di agosto in pratica c’erano cacciatori che “provavano” i cani i quali chiusi da 8 mesi nei loro angusti box o attaccati alla catena non potevano far altro che gettarsi in corse sfrenate e abbaianti dietro ad ogni tipo di forma vivente. I cani meno esperti, ad esempio i cuccioloni, da quelle avventure nei boschi non sono più tornati, smarriti per sempre o divenuti randagi e poi condotti in canile: senza microchip, senza segni di riconoscimento, ma non di rado con il collare elettrico ormai da tempo vietato. Maltrattamento e abbandono di animali. Purtroppo per questi numerosi casi non c’è riscontro in sanzioni e condanne, ma ci sono in compenso centinaia di cani che finiscono al canile e da quel giorno in avanti pesano sulle tasche di tutta la collettività. Nella sola provincia di Pesaro e Urbino ogni anno dalle casse dei comuni escono oltre un milione e mezzo di euro per pagare le rette e le spese di gestione di canili e rifugi. Oltre il 60% dei cani che vi si trovano (e alcuni vi restano per tutto il resto della loro vita), sono razze solitamente usate nella caccia. Si tratta dei cani persi dai cacciatori o più spesso scartati, perché non buoni, non dediti abbastanza al lavoro di braccata o riporto. Anche questo è un aspetto dell’attività venatoria che va analizzato e sommato agli altri che sono di natura etica e sociale, dall’uccidere per divertimento a invadere le proprietà private altrui. Non si capisce come di fronte a tanto malumore nell’opinione pubblica e ai sondaggi che da 15 anni vedono in ogni occasione stravincere i contrari alla caccia (con quote dal 70 all’85%), i favoritismi a questa minuscola fetta della popolazione (circa l’1,2 %) sono tutt’altro che proporzionati: basti pensare che ai cacciatori viene normalmente data la possibilità di sparare nel 70% del territorio e si è visto di recente in Puglia cosa può succedere… Per la verità si è visto anche da queste parti, quando a Isola del Piano ha perso la vita un padre di famiglia mentre cacciava di frodo la notte con un amico, oppure quando a San Lazzaro di Fossombrone un colpo di carabina entrò in una casa per fortuna senza infilarsi nel corpo di nessuno degli abitanti. Due episodi (su tanti, basti pensare che mediamente ogni anno, nell’esercizio della caccia muoiono più di 35 persone…) che consigliano di prendere provvedimenti sulla vigilanza, perché il bracconaggio non sembra aver freni, e sulla distanza di sicurezza di 2 chilometri da luoghi abitati e siti di interesse turistico con la quale al più presto riperimetrare le zone di caccia agli ungulati (dove viene usata la potentissima carabina).
I cani “persi” dai cacciatori
7 Settembre 2010Scritto da Pelle