Ora che norme più stringenti e incentivi meno generosi hanno rallentato, se non fermato, la costruzione di impianti fotovoltaici a terra, sta partendo, come nel Far West americano, la corsa all’accaparramento dei certificati verdi attraverso la costruzione di impianti per la produzione di biogas, occupando proprio quei terreni agricoli che sono sfuggiti all’assalto dei pannelli di silicio.Anche in questo caso i progetti si riferiscono generalmente a impianti di potenza elettrica sotto a 1 Mw, così da non incappare nella V.I.A., e sono costruiti in mezzo alla campagna, dove è disponibile l’allaccio alla rete elettrica per il dispacciamento dell’energia prodotta.
Ma rispetto al fotovoltaico i problemi in ordine alla compatibilità paesaggistica, ambientale e di tipo sanitario, aumentano ulteriormente. Infatti mentre la rimozione dei pannelli fotovoltaici dopo 20/30 anni di esercizio è un’azione relativamente semplice e permette, almeno in teoria, il totale ripristino dei luoghi, non sarebbe lo stesso per impianti che prevedono grossi silos, vasche di deposito, centrale elettrica, capannoni, larghi spiazzi asfaltati, ecc. Il rischio abbastanza evidente è la creazione di tanti piccoli impianti industriali in aree agricole o vicino alle abitazioni, svincolati da ogni logica urbanistica proprio per le esenzioni che godono queste opere (art.12 c.7 D.L. 387/2003). Un altro problema è dato dall’utilizzo del materiale organico necessario al procedimento: dovrebbero essere usate materie vegetali o scarti animali, oppure colture dedicate, ma non scarti di produzione industriale o, peggio ancora, rifiuti. Ma la tentazione di allargare la tipologia merceologica potrebbe essere grande se la capacità degli impianti fosse notevolmente superiore all’offerta di materie prime vergini. Poi dal punto di vista ambientale occorre considerare il notevole incremento di inquinanti causati dal trasporto della biomassa, lo sfruttamento dei terreni destinati alle monocolture energetiche (in genere mais) e la perdita biodiversità del territorio agricolo. Infine il problema più serio è dato dal bilancio energetico complessivo. Infatti se l’impianto di biogas produce solo energia elettrica e non c’è il recupero termico, ad es. con una rete di teleriscaldamento, vengono sprecati i 2/3 dell’energia prodotta e il bilancio energetico va in passivo, quindi sarebbe meglio bruciare direttamente il petrolio. E’ chiaro che in questo contesto solo gli incentivi del G.S.E. rendono remunerativo l’investimento. Riteniamo quindi che questo genere di impianti debba essere strettamente legato alla filiera agricola esistente: utilizzare solo gli scarti di lavorazione delle materie prime vegetali e i reflui zootecnici, senza vincolare centinaia di ettari di terreni fertili con colture energetiche dedicate.
Siamo quindi al fianco dei cittadini di Tombaccia e di tutti coloro che si oppongono all’uso selvaggio e speculativo delle fonti rinnovabili e invitiamo la Regione ad adottare, anche per gli impianti per la produzione di biogas, delle linee guida fortemente restrittive per evitare un nuovo ”sacco” delle colline marchigiane.
Evidenziamo da ultimo che la presenza della Sig.ra Severini (amm.re della società Prima Energia) nella Comm.ne Locale per il paesaggio del Comune di Fano appare in contrasto con il ruolo di tecnico che ha redatto decine di progetti di impianti fotovoltaici con cui sono stati coperti centinaia di ettari di superficie agricola, inclusi molti versanti di splendide colline. Visto che la commissione ha il compito di valutare i progetti edilizi in aree vincolate al fine di salvaguardare i valori paesaggistici presenti, crediamo inconciliabile la funzione pubblica della Severini con l’attività professionale svolta.
Fano, 06/06/2012
La Lupus in Fabula
Il V. presidente Claudio Orazi