E così il grande parco eolico è realtà. Sono stati segati i lampioni a Piobbico, sportati i guard-rail lungo l’apecchiese, per permettere il passaggio delle colossali strutture che andranno a costituire le cinque altissime torri, ben più grandi delle antenne del M.Nerone. Un “parco” che rischia di costare molto caro all’intera comunità, non solo a quella di Apecchio. L’impatto di questo enorme parco industriale nel cuore vergine dell’Appennino rappresenta una vulnerazione non solo fisica, ma anche culturale per l’intero Montefeltro, sub regione per la quale si era attivata l’ipotesi di riconoscimento di “patrimonio mondiale Unesco” per la coesistenza di paesaggi e presenze storico artistiche unici al mondo. Ora vi sono ancora i presupposti per tale riconoscimento, vista l’ineludibile visibilità dell’ecomostro, che rischia addirittura di costituire uno degli elementi paesaggistici fondanti del Montefeltro stesso? Peraltro, si tratta dell’unico parco eolico che è “passato” nell’Appennino settentrionale; altrove la “Rete di Resistenza sui Crinali” è riuscita a respingerli tutti. Ma Apecchio è risultato un ventre molle, una fessura aperta sul muro resistente e ora qualcosa di simile ad un’infezione nel corpo sano dell’entroterra pesarese. Per giunta, il “parco” viene realizzato proprio su un sito archeologico. La Soprintendenza ha detto che va bene così. Nessuna resistenza di fronte alla potenza dell’industria pesante; un’industria senza lavoro però: neanche un posto. Solo l’insinuarsi di una azienda di remota provenienza, priva di agganci col territorio, uno sbarco “alieno” in un contesto di completa destrutturazione politica, senza alcun presidio e con i Comuni in ordine sparso, in balia di se stessi e di amministratori non sempre in possesso dell’auspicabile profilo culturale. E per quanto riguarda “la Città della Birra” (il Comune di Apecchio), la cifra conferita da contratto al Comune (110 mila euro l’anno, più una cifra non precisata, da elaborare in base alla produzione e certificati verdi) è omnicomprensiva. In pratica, l’importo percepito dal Comune è in buona parte costituito dalle tasse, che sarebbero comunque dovute. Una vera pacchia per il proponente. Un vero capolavoro di alta amministrazione, quella comunale di allora, che ha lasciato agli amministratori contemporanei (e a quelli futuri) la gestione di questa bella eredità: terre in cambio di specchietti e perline colorate, gli indigeni ringraziano: un film già visto.
E va sgombrato il campo dall’idea che si tratti di energia “pulita”. A parte l’impatto ambientale che si ha ponendo un’area industriale in cima ad una montagna, l’immane quantità di cemento (e altri materiali) utilizzata e l’incredibile numero di trasporti necessari (un anno avanti e indietro) alla costruzione del “capolavoro”, hanno immesso tanto carbonio in atmosfera che ci vorrà altro che la produzione eolica per pareggiare il conto! E il vento è proprio quel che sembra mancare. Le oltre 2000 ore di vento “utile“, necessarie a rendere economicamente vantaggioso un simile impianto, non ci risulta ci siano da nessuna parte nel Pesarese. Se è così, l’ “energia pulita” viene prodotta dai finanziamenti pubblici, i soli convenienti per l’installatore. A completare il quadro, nessun impianto costruito in Italia ha sostituito un impianto ad energia “fossile”: la produzione “verde” si somma semplicemente a quella tradizionale. In tal modo l’inquinamento non cala di un punto, anzi aumenta. Comunque, la vicenda non è finita: comincia ora, dalla trasparenza che la regione Marche in questi casi non sembra riuscire a garantire. Lo dimostra la legge sulla Valutazione di impatto ambientale che è stata dichiarata incostituzionale perché non garantisce trasparenza e partecipazione. .
Apecchio (PU) 30 marzo 2016
Gruppo di Intervento Giuridico
La Lupus In Fabula