Dell’incontro di mercoledì 22 febbraio in Urbino avente per oggetto “Animali selvatici: come salvaguardare la sicurezza stradale e l’agricoltura del nostro territorio”se ne è già parlato e scritto ma vorremmo aggiungere alcune nostre considerazioni. L’incontro a nostro avviso è stato completamente sbilanciato, caratterizzato da molte note allarmistiche e affrontato, per lo più, dal punto di vista di agricoltori e allevatori della vecchia guardia, presenti in gran numero. Il Sindaco di Urbino, Maurizio Gambini, non ha perso occasione di parlare alla pancia dell’assemblea esordendo con una frase che ha fatto subito capire da che parte avrebbe peso la bilancia. A suo avviso sul nostro territorio ci sarebbe una presenza massiccia di animali selvatici in contrasto con l’attività umana ed il lupo sarebbe uno dei problemi maggiori pertanto la questione andrebbe affrontata in tutti i modi.
In realtà l’unico modo che viene preso in considerazione da Sindaci, Comunità Montane, Presidenti degli Ambiti territoriali di caccia, allevatori e tutte le categorie presenti, esclusi gli ambientalisti, è quello di ucciderli, perché “intensificare ulteriormente l’attività di abbattimento selettivo”, come si legge nella relazione sulla riunione del Comitato Prov. Per l’Ordine e la Pubblica Sicurezza tenutosi a dicembre e presieduta dal Prefetto Dr. Luigi Pizzi, questo vuol dire. Il ridimensionamento del numero degli animali selvatici, mai scientificamente determinato, andrebbe dunque affidato pertanto ai cacciatori di selezione. Il parere del Sindaco di Urbino è addirittura che il 90% dei cinghiali dovrebbe essere abbattuto, quota individuata non si sa su quali dati seri e affidabili. Ora noi vorremmo fare su questo alcune riflessioni e spostare la bilancia verso metodi non cruenti e meno invasivi sull’ambiente.
La prima riguarda l’esistenza di un progetto sperimentale denominato LIFE STRADE: gestione adeguata degli investimenti stradali della fauna selvatica, promosso proprio dalla Provincia di Pesaro ed Urbino con il contributo della Comunità Europea, realizzato dal Centro Recupero Animali Selvatici. Durante l’incontro di questo progetto non si è parlato minimamente, eppure i risultati positivi che ci sono stati sono stati resi pubblici durante un seminario svoltosi a novembre. Il progetto non può e non deve finire lì. Se la sperimentazione ha dato risultati positivi e, là dove è stato messo in atto, sono diminuiti gli incidenti che hanno coinvolto animali selvatici , il progetto va concretizzato e messo in atto ovunque.
La seconda si volge ai metodi alternativi di contenimento del numero di animali selvatici quali ad esempio: cattura e sterilizzazione, contrasto agli allevamenti illegali di cinghiali, alla loro pasturazione e al rilascio clandestino, far emergere i profitti ottenuti dalla vendita dei capi uccisi ai ristoratori, non affidare esclusivamente alle associazioni venatorie il controllo degli ungulati. E’ noto che negli anni ’70 in Italia sono stati introdotti cinghiali di una razza non autoctona, animali di notevoli dimensioni e più prolifici dei nostri. Da allora c’è stata una proliferazione di questa specie che ha portato allo sviluppo di modalità di prelievo venatorio definite dall’ISPRA “tecnicamente discutibili, caratterizzate da un approccio improvvisato e riferibile ad una “tradizione venatoria” spesso inesistente”. Lo stesso ente afferma che “la classica braccata con cani da seguita utilizzata nella caccia al cinghiale non può essere considerato il sistema preferibile per il controllo della specie, in particolare all’interno delle aree protette”. Eppure è previsto che, tali interventi, vengano effettuati anche nelle riserve come quella del Furlo. Durante l’incontro c’è stata la testimonianza di un allevatore che, avendo dislocato nel suo terreno alcune gabbie per i cinghiali, si è ritrovato le gabbie distrutte dai cacciatori. Qualcuno ha proposto di introdurre la rotazione delle squadre di cinghialai sul territorio, proposta subito fischiata da diversi presenti.
La terza riflessione riguarda i danni che agricoltori e allevatori subiscono periodicamente dagli ungulati. Essi lamentano, a ragione, il ritardo dei risarcimenti ma è anche vero che per difendere gli animali al pascolo ben poche misure vengono prese. Non sono mai stati presi in considerazione i risultati positivi ottenuti in altre Regioni laddove sono stati posti a custodia del bestiame recinzioni e cani da pastore. Contestabile ma non contestato l’intervento del Sindaco di S. Angelo in Vado che ha espresso la sua contrarietà ad usare i suddetti metodi in quanto, secondo lui, oggi la figura del pastore che sta con il gregge non ha più senso perché il pastore ha altro da fare. Senza il pastore gli stessi cani a guardia del gregge, quando vengono impiegati, potrebbero costituire un rischio per qualche persona di passaggio. Risultato: il bestiame incustodito è alla mercé dei predatori, da non identificare necessariamente con il lupo ma anche con cani rinselvatichiti. Il lupo se può farne a meno si tiene alla larga dall’attività umana e preferisce cibarsi di ungulati contribuendo al controllo del numero di caprioli e cinghiali come natura comanda.
La quarta riflessione riguarda all’impatto sull’ambiente che hanno le cosiddette braccate con cani che vedono coinvolti numerosi gruppi di cinghialai. Arrivano con i loro fuoristrada in sentieri poco frequentati e si appropriano di zone boschive che si riempiono delle loro grida di incitamento. Le vallate rieccheggiano dei latrati dei cani da seguita e, quello che dovrebbe essere un luogo votato al rispetto ed al silenzio per non disturbare gli animali del bosco, diventa pericoloso e inaccessibile per chi vi si avventura. Molti residenti nelle campagne circostanti vivono questi momenti come veri e propri soprusi e si sentono ostaggi dei cacciatori che non di rado hanno atteggiamenti da prepotenti verso chi disturba la loro attività venatoria. Nello stesso tempo,altre attività legate alla fruizione di un ambiente sano e incontaminato come agriturismi, escursionismo a piedi o in bicicletta, subiscono notevole disturbo.
La quinta e ultima riflessione non può che riguardare la presenza del lupo che ha ripopolato gli Appennini ma che, a torto, viene visto come una minaccia. Molti sbandierano il rischio di un incremento incontrollato del predatore quando in realtà la natura stessa regola le nascite. Nel branco partoriscono solo le femmine dominanti e se il territorio ha raggiunto il numero ottimale oltre il quale si creerebbero problemi di procacciamento del cibo, le nascite si riducono e i giovani lupi abbandonano il territorio in cerca di zone meno popolate. Di fronte ai danni all’ambiente che noi umani perpetriamo quotidianamente in modo massiccio, dichiarare guerra agli animali selvatici sotto la dicitura di “abbattimento selettivo” non ha alcuna giustificazione. Avrebbe senso invece che si prendesse atto che il mondo sta cambiando rapidamente e che sta nascendo un nuovo modo di sentire e, con esso, la consapevolezza che il vero predatore è l’essere umano che con il suo comportamento sta mettendo a rischio le generazioni future. Le autorità, i Sindaci e chiunque abbia un ruolo pubblico, legislativo, politico, educativo dovrebbe avere lungimiranza e aprirsi al nuovo che avanza. Esso oggi si manifesta nelle diverse forme di condanna della caccia, degli allevamenti intensivi, dell’utilizzo di animali da reddito senza il rispetto del loro essere senzienti, del consumo del territorio, della distruzione del paesaggio, dell’avvelenamento dovuto ai pesticidi e della richiesta forte di salvaguardia e tutela di biodiversità compromessa quotidianamente da scelte dissennate del profitto costi quel che costi.
Fano, 1 Marzo 2017