Ci siamo sempre chiesti come mai a Pesaro imperversi una pratica, in gran parte stagionale, che denuncia una forma di odio verso gli alberi, ma in generale verso quegli elementi della natura che possiamo chiamare “flora”.
La mania di devastare chiome di alberi – quel che si vede non si può chiamare “potare”, potare è altra cosa – si diffonde, assieme ai primi pollini nell’aria. E dignitosi e utili alberi si riducono a monconi orrendi, miserrimi, con ferite che al 60-70% si infetteranno e ridurranno la vitalità e stabilità dell’albero. Albero che è stato piantato per essere un albero cosiddetto “ornamentale”, dedito cioè a produrre bellezza, ombra, ossigeno, riparo naturale, schermo anti rumore e polveri.
Un olivo lo si pota affinchè produca le olive come vogliamo noi, e non come le farebbe secondo il suo codice antico di milioni di anni. Stessa cosa per ogni albero da frutto. Motivi pratici portano a ridurre la chioma, a ridurre i fiori da frutto al numero che produca pezzatura più grosse.
Nel caso degli alberi di città, quelli dei giardini, quelli dei viali, non esiste alcun motivo per la potatura, se l’albero è sano e se la sua chioma non infastidisca il passaggio o le finestre.
Che sia chiaro anche ai duri di orecchio: nessun albero ha mai avuto bisogno di potature. Loro esistono da milioni di anni prima che noi comparissimo sul pianeta, facevano benissimo senza noi e le ns cure. Con l’avvento dell’agricoltura abbiamo imparato che alcuni interventi obbligavano l’albero a produrre frutti a noi più graditi, più grandi e zuccherini.
Abbiamo poi prodotto forme, con gli alberi, per abbellire i giardini, l’ars topiaria era padroneggiata dai Romani, continuiamo ad avere necessità di eliminare rami pericolosi, di ridurre la chioma ove sia eccessiva rispetto allo spazio disponibile – ma in tal caso la colpa è dell’uomo che ha piantato la specie nel posto sbagliato: alberi che diventano molto grandi richiedono più spazio.
Fatte salve queste esigenza ogni altra potatura è DANNOSA. C’è chi dice che invece l’albero dimostra la sua soddisfazione ricacciando tanti rametti. È vergognoso che in tanti si scordino che è nelle foglie che un albero produce la indispensabile fotosintesi, che lo nutre. Privato di rami e di conseguenza di foglie, cosa dovrebbe mai fare per continuare ad esistere? Ma il danno ricevuto, lo stress che ha subito, lo indeboliscono, lo rendono meno vitale, meno resistente alle malattie ed alla stessa vita cittadina che per un albero è un insulto continuo (a dire la verità la vita cittadina è anche per noi spesso un insulto continuo). Tanto che a distanza di pochi anni alcuni alberi decedono senza essere riusciti a riprendersi davvero. Ce ne sono di casi in città, ed anche nelle campagne. Alberi condannati a morire decenni o secoli prima del tempo per questa convinzione che potare faccia bene. Fa bene come togliere un dente. Se non si può fare a meno il dente malato lo si toglie, ma è sempre l’ultima ratio, una volta tolto non c’è più.
Si potano anche le conifere a Pesaro. Chi pretende di fare il mestiere di giardiniere senza aver letto nemmeno un libro non sa che le conifere NON hanno gemme dormienti e NON ricacciano (tranne Tasso e Sequoia). Dopo una potatura drastica semplicemente il pino, il cipresso, si avvia ad un vita ridotta, visto che può germogliare solo dagli apici vegetativi rimasti.
Perché mai odiamo tanto gli alberi, le erbe spontanee che si ostinano a crescere lungo i fossi, nascondendo la orrenda porcheria che noi cittadini buttiamo dappertutto (plastica, carte, cartoni, lattine…)?
Forse che non perdoniamo agli alberi la bellezza, la generosità, la longevità, la resistenza, la resilienza, la capacità di fare del tutto a meno di noi? Li invidiamo e per questo li vorremmo distruggere?
Mentre ci chiediamo che colpa hanno gli alberi per meritarsi questo trattamento dal signore del creato, possiamo invece dire dove la potatura può avere senso, se fatta con criterio.
Esistono “forme di allevamento”, modi di condurre le chiome, che servono all’uomo. I gelsi storici nelle campagne sono impalcati bassi, non sopra ì due metri, per rendere facile l’accesso alla foglia che serviva ad allevare bachi. Gli alberi delle piazze nelle quali si svolgevano i mercati erano allevati con una forma similare. Troncati da giovani sviluppavano nel tempo, seguendone la crescita, una chioma ampia e vicina al suolo, per ombreggiare lo spazio del commercio. All’ex foro boario di B.go S.Maria circa 20 anni fa un pessimo intervento aveva rovinato i tigli storici. Potature drastiche, senza alcun filo logico. Oggi quegli alberi, che continueranno purtroppo ad avere i segni di un trattamento distruttivo, hanno ripreso una forma, ed assieme a quella la funzione di ombreggianti viventi. Aspes ha messo in opera un vero intervento restaurativo, competente e sapiente. L’uomo può fare bene e può fare male, abbiamo sufficienti conoscenze scientifico tecniche per fare bene, abbiamo abbastanza arroganza ed ignoranza per fare male.
La professionalità e la sensibilità nel settore verde di Aspes è visibile nell’intervento del centro sociale di Borgo.
Su altri interventi visibili in città….meglio chiudere gli occhi!
Pesaro, 11 marzo 2017
LA LUPUS IN FABULA – LEGAMBIENTE PESARO – WWF PESARO – TAVOLO AMBIENTE Comune di Pesaro