La delibera della Provincia di Pesaro e Urbino nr 284 del 31.07.09 fa
riferimento al Regolamento Provinciale di Caccia di Selezione (nr 17) del
30.08.1999, redatto quando questa strage di caprioli (e daini) ha avuto
inizio. Dal principio, sotto l’egida del presidente Ucchielli (PD), la
Provincia ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica evidenziando che
annualmente si ammazzano solo il 10% dei caprioli presenti nel territorio,
anche se poi hanno avuto l’intelligenza politica di non rendere mai noto
questo modello di gestione (se non dov’era indispensabile, come nel
calendario venatorio) tant’è che non se ne trova traccia nei siti internet
istituzionali. Per dirla tutta, nel 1999 non è tanto iniziata la gestione
dei cervidi ma dovremmo dire che è iniziato il business della caccia al
capriolo e al daino. Da quell’anno, quasi annualmente, la Provincia ha
organizzato con la società Hystrix i corsi per selecacciatori con relatori
di livello nazionale costosissimi e un giro di soldi impressionante.
Funzionari e consulenti faunisti hanno a più riprese dimostrato di essere
incapaci di programmare altra forma di gestione che non sia l’abbattimento;
hanno invece voluto, per loro stessa ammissione, “creare una nuova figura di
cacciatore”. Tutto è iniziato ed è andato avanti fin’ora mica per i motivi
con cui oggi provano a giustificarsi, cioé i danni all’agricoltura, gli
incidenti stradali o l’eccessivo numero di caprioli che non permetterebbe di
avere per tutti loro territorio e cibo a sufficienza (?!): amministratori,
funzionari e persino gli stessi cacciatori di selezione dicono questo! La
verità è che ai caprioli si spara perchè non sono (più) a rischio di
estinzione e che gli altri aspetti legati alla loro presenza (agricoltura,
incindenti stradali) sono irrilevanti.
Tutto questo chiarisce che la cosa non ha niente di scientifico ma è una
decisione politica che va in linea con la svolta che il mondo venatorio ha
voluto darsi negli ultimi 15 anni, puntando sulla “caccia grossa” (leggasi
ungulati), nel tentativo di frenare il calo di aderenti e per dare ai più
facinorosi un nuovo stimolo.
Senza remore rispetto al rigore scientifico e l’imparzialità, la caccia di
selezione pesarese è sin da subito degenerata e già dal secondo anno il
piano di abbattimento aveva preso proporzioni ambigue: i capi da abbattere
aumentavano magicamente all’aumentare dei cacciatori di selezione, e
continua ad essere così, ora che i selecacciatori sono poco più di 400
(infatti ne ammazzano circa 6 a testa). Ad un primo censimento (1998) fatto
dagli stessi cacciatori, erano risultati esserci circa 8.000 caprioli in
provincia e su quello studio (che uno studio non è) si sono messe le basi
per ammazzare sempre più animali, anno dopo anno, poggiando sul calcolo
dell’incremento annuo (tutt’altro che costante) e così si é partiti con una
ottantina di abbattimenti e si é arrivati agli attuali 2.529 (!!!!). Ma
com’è stato possibile? Prima di tutto quello che è sempre stato chiamato un
censimento, censimento non era all’inizio e non è mai stato in seguito,
anche quando hanno detto di averlo riverificato. Con i metodi che hanno
utilizzato e con la tempistica adottata trattasi di stima, e non di
censimento. E la differenza non è poca. La stima può sballare dal 20 al 40%.
Il cacciatore di selezione è stato veramente considerato dall’ente Provincia
un cacciatore emancipato, competente e affidabile. A lui è stato assegnato
il compito di censire caprioli e daini, a lui è stato anche dato un ruolo di
controllo del territorio, fino ad arrivare al paradosso che su di lui i
controlli possono non essere fatti. Basti pensare che la prima verifica del
singolo abbattimento eseguito (previsto dal Regolamento) avviene mediante
l’introduzione di una cedola in una cassetta della posta installata in ogni
distretto. La seconda verifica è quella della consegna del cranio dei maschi
e delle mandibole delle femmine. Non solo: a seconda di quanti animali
uccidono e di quanto tempo ci impiegano, a questi cacciatori viene dato un
punteggio, e chi ha il punteggio più alto può vedersi assegnati più capi o
una zona che più gli aggrada per andare a cacciare. I più meritevoli vengono
coinvolti nelll’assistenza ai principianti: si, perchè quando un cacciatore
ammazza i primi caprioli della sua vita può richiedere un aiuto e così a
sparare sono in due, da due posti diversi, e il capriolo non ha scampo…
Insomma, un pasticcio che mette in primo piano solo tavole imbandite da
carne di capriolo, nelle case dei selecacciatori e, a quanto pare, nei
ristoranti compiacenti (che guarda caso hanno carne di capriolo fuori menù);
per di più molte scelte tecniche si scontrano con l’etica (e non solo), come
l’abbattimento annuale di centinaia di cuccioli dell’anno, l’abbattimento
delle femmine incinte e l’abbattimento di soggetti che mostrano avere ad
esempio un’amputazione (ma caprioli e daini vivono anche con tre zampe, dopo
aver superato con grandissimo attaccamento alla vita i problemi delle
infezioni…). Nessuno ha mai voluto nel tempo introdurre modifiche in
corso, a riprova della scarsa scientificità, e come nella situazione
attuale, con l’inverno molto nevoso e quindi selettivo sulla specie, non ci
pensano minimamente a rivedere la tempistica o il quantitativo di
abbattimenti. Anzi, da un paio di anni è stato introdotto un provvedimento
che nel mondo scientifico, quello vero, viene definito un assurdo biologico:
in alcuni aree della provincia gli abbattimento del daino sono senza limite
numerico in quanto è prevista l’eradicazione della specie. Un progetto
inspiegabile e anche illegittimo: di fatti il ricorso al TAR fatto da Lupus
in Fabula (con LAC e VAS) lo ha dimostrato e l’eradicazione è stata sospesa.
Su misfatti di questo tipo, che aggrediscono un patrimonio pubblico come gli
animali selvatici e calpestano l’etica, i politici non possono mettersi da
parte: loro è stato il voto sulla delibera, loro deve essere l’assunzione di
responsabilità, senza lasciare campo libero a funzionari (tra l’altro il
capo dell’Ufficio Caccia è a sua volta un cacciatore) o ai faunisti che
sulla caccia ci guadagnano e gli garantiscono che sulle popolazioni di
capriolo possono essere fatti prelievi anche del 20-30% senza rischi di
contrazione irreversibile. Vero é che i caprioli tendono a rioccupare le
nicchie lasciate vuote da altri caprioli, quindi la popolazione riesce a
ritornare sempre al livello più adeguato agli habitat disponibili, ma non
c’é niente di scontato: gli habitat possono modificarsi e gli abbattimenti
“artificiali” possono sommarsi a mortalità naturali uscendo dal controllo.
La stessa dinamica avviene nelle popolazioni di piccione e la comunità
scientifica ha in quel caso espresso parere unanime sulla inutilità di
interventi cruenti; del resto, se è vero che una popolazione in salute
recupera deficit indotti, è anche vero che quella stessa popolazione ha
evidentemente raggiunto il limite della capacità portante e quindi, anche se
lasciata stare, non aumenta più ma semmai espande il proprio areale.
Insomma, vi può essere una contrazione dell’incremento annuo oppure più
probabilmente una dispersione degli individui giovani: i caprioli erratici
del pesarese hanno di fatti ricolonizzato la provincia di Ancona, dove non
ce ne erano più.
Andrea Pellegrini