“RIGENERAZIONE O DEGENERAZIONE URBANA?”

(in merito al nuovo ponte ciclopedonale sul Foglia, a Pesaro)

 

Da anni, come Lupus in Fabula, ci battiamo per incentivare la mobilità in bicicletta.  Non siamo però mai d’accordo con la scelta di realizzare opere che abbiano un notevole impatto ambientale ed economico invece di privilegiare una progettazione delle piste ciclabili  leggera ed ecologica.

La costruzione del nuovo ponte ciclopedonale sul fiume Foglia rappresenta emblematicamente l’ultimo stadio di una politica degenerativa, incapace di leggere il territorio, di interpretarne i bisogni reali  ed ancor meno di rispettare il paesaggio.

Un’opera che si presenta con il volto moderno della sostenibilità, ma che dietro la retorica verde nasconde scelte gravi e irrazionali, sia sul piano economico che su quello ambientale.

A cosa serve un nuovo ponte?

In linea generale, a connettere due punti separati, a ridurre tempi di percorrenza, a migliorare l’accessibilità.

Ma in questo caso a cosa serve?

A soli 500 metri da questo nuovo ponte esiste già il ponte di via Mameli, carrabile e dotato di marciapiede, potenzialmente modificabile in pista ciclabile almeno su un lato; a 300 metri si trova il Ponte Vecchio, storico passaggio anche lui carrabile e dotato di marciapiede; pure a 300 metri il ponte (con ciclabile) su via Ponchielli.

La nuova infrastruttura si limita dunque a risparmiare appena trecento metri di tragitto.

Un vantaggio irrisorio, che non giustifica in alcun modo l’entità dell’intervento né il suo impatto paesaggistico.

Il ponte è stato realizzato interamente in acciaio: 368 tonnellate di materiale, per un ponte che avrebbe potuto benissimo essere costruito in legno lamellare, o con soluzioni leggere ed integrate nel contesto paesaggistico.

L’opera misura 98 m. di lunghezza e 5,50m. di larghezza ed è costata quasi 4 milioni di euro.

A questi si sommano altri 200 mila euro per il sistema di videosorveglianza, a cui si aggiungono i costi ambientali, incalcolabili ma reali.

In un’epoca in cui si parla di transizione ecologica e rigenerazione urbana, ci si sarebbe aspettati un approccio più rispettoso del contesto ambientale, più orientato alla sobrietà degli interventi, ma, soprattutto, più attento al rapporto costi benefici.

Non solo i costi economici ma anche quelli relativi alla perdita di natura. Infatti, la costruzione del ponte ha comportato l’abbattimento di oltre 80 alberi, di cui circa 20 di specie protette, sul lato parco 25 Aprile,  che non erano solo elementi di decoro urbano: erano un ecosistema. Una perdita grave, perché ospitavano nidi, proteggevano specie autoctone, regolavano la temperatura e l’umidità, trattenevano CO₂, stabilizzavano il suolo e creavano ombra e bellezza.

Con la loro rimozione si è spezzato un equilibrio, dato che l’ambiente fluviale è un sistema fragile: ogni intervento deve essere calibrato con la massima prudenza.

Questo ponte è pertanto il simbolo di un approccio degenerato alla cosa pubblica. L’ennesimo esempio di come si continui a confondere il “fare” con il “disfare”, l’investimento con la spesa, l’immagine con la sostanza.

È una scelta che dimostra quanto le amministrazioni locali, troppo spesso, inseguano il consenso attraverso la visibilità e la spettacolarizzazione, anziché rispondere ai reali bisogni dei cittadini e del territorio.

Pesaro, 18 aprile 2025